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Antoon van Dyck - Cristo della moneta
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Antoon van Dyck - Anton Giulio Brignole - Sale a cavallo
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Giovanni Francesco Barbieri, detto Guercino - Cleopatra morente
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Giovanni Francesco Barbieri, detto Guercino - Padre Eterno con un angioletto
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Bernardo Strozzi, detto il Cappuccino - La cuoca
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Jacopo Negretti, detto Palma il Vecchio - Madonna col Bambino tra i santi Giovanni Battista e la Maddalena
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Carlo Antonio Tavella - Paesaggio lacustre
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Lorenzo De Ferrari - Il salotto delle Virtù Patrie
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Domenico Piola - Allegoria dell’Autunno
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Domenico Piola - Il carro del sole con le stagioni
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Giovanni Benedetto Castiglione, detto il Grechetto - Natività
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Gerard David - Madonna della Pappa
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Jan Wildens - Gennaio - Pattinatori sul ghiaccio
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Leon Cogniet - Maria Brignole-Sale De Ferrari, Duchessa di Galliera con il figlio Filippo
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Pellegro Piola - Sacra Famiglia detta della farfalla
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Descrizione

Certamente il dipinto più noto di Strozzi, questa tela, conosciuta come La cuoca, ritrae piuttosto una sguattera intenta a spennare un’oca tra polli e piccioni, con un tacchino appeso alle sue spalle, nella cucina di una dimora aristocratica genovese del Seicento. Presso le famiglie della nobiltà locale il mestiere di cuoco era all’epoca riservato esclusivamente agli uomini, mentre le donne potevano solo occuparsi di mansioni più umili, come appunto spennare il pollame; che si tratti di una dimora aristocratica, d’altra parte, è certo, vista la presenza in primo piano di una ricca stagnara in argento sbalzato, con elaborato manico raffigurante una figura femminile. Il quadro è menzionato per la prima volta nell’inventario del 1683-1684 di Gio. Francesco I Brignole - Sale, committente della dimora di Palazzo Rosso; dal secondo decennio del Settecento, invece, e almeno fino al 1774, l’opera è sempre ricordata nella villa di famiglia sulla collina di Albaro: è molto probabile che questa collocazione di minor prestigio sia stata motivata dal soggetto di immediata quotidianità del dipinto, giudicato probabilmente non confacente al decoro del palazzo di città, la cui quadreria si era andata arricchendo, tra fine Seicento e inizio Settecento, di tele di soggetto storico o di iconografia sacra. L’opera di Strozzi è una mirabile sintesi delle diverse influenze che nei primi decenni del Seicento costituivano il tessuto della pittura locale: da un lato la moda fiamminga per le rappresentazioni di “cucine”, “mercati”, “dispense”, che aveva trovato esempi, già alla metà del Cinquecento, in dipinti di pittori come Aertsen e Beuckelaer, presenti nelle collezioni genovesi; dall’altro la nuova attenzione per il genere della “natura morta”, a motivo della presenza in città di pittori, ancora provenienti dalle Fiandre, come Jan Roos o Giacomo Liegi; in ultimo, il primo affermarsi di quel naturalismo di matrice caravaggesca che costituiva l’altro polo di aggiornamento della scuola locale, cui si unisce la pennellata materica tipica del pittore. Dal punto di vista iconografico, è chiara la volontà di misurarsi con la rappresentazione di soggetti popolari, mostrando un’adesione alla realtà ancora sconosciuta ai pittori genovesi, e singolare se si considera questa scelta da parte di un religioso; non è escluso, tuttavia, che al di là di questo significato immediato possano celarsi nel dipinto altri contenuti simbolici, forse – come è stato proposto – un’allegoria dei quattro elementi, cui alluderebbero i volatili, per l’aria, l’elaborata stagnara, per l’acqua, la “cuoca”, per la terra, e il fuoco, che il pittore dipinge con grande maestria nel suo crepitare sotto il paiolo.

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