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Antoon van Dyck - Cristo della moneta
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Antoon van Dyck - Anton Giulio Brignole - Sale a cavallo
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Giovanni Francesco Barbieri, detto Guercino - Cleopatra morente
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Giovanni Francesco Barbieri, detto Guercino - Padre Eterno con un angioletto
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Bernardo Strozzi, detto il Cappuccino - La cuoca
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Guido Reni - San Sebastiano
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Jacopo Negretti, detto Palma il Vecchio - Madonna col Bambino tra i santi Giovanni Battista e la Maddalena
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Carlo Antonio Tavella - Paesaggio lacustre
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Lorenzo De Ferrari - Il salotto delle Virtù Patrie
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Domenico Piola - Allegoria dell’Autunno
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Domenico Piola - Il carro del sole con le stagioni
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Giovanni Benedetto Castiglione, detto il Grechetto - Natività
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Gerard David - Madonna della Pappa
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Jan Wildens - Gennaio - Pattinatori sul ghiaccio
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Leon Cogniet - Maria Brignole-Sale De Ferrari, Duchessa di Galliera con il figlio Filippo
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Pellegro Piola - Sacra Famiglia detta della farfalla
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Altre opere esposte

Descrizione

Questo dipinto, in cui Cleopatra è colta nell’attimo estremo di farsi mordere da un’aspide, pur di non subire l’onta della sconfitta e della prigionia, fu eseguito dal maestro nell’ultima fase della sua attività, quando, trasferitosi a Bologna dopo la morte di Guido Reni (1642), ne ereditò il ruolo di caposcuola e ne subì l’influsso, orientandosi verso una pittura di stampo classicista, volta a una maggiore idealizzazione delle figure cui si accompagna una progressiva riduzione della gamma cromatica e il frequente ricorso a colori pastello. La tela ben si accorda con questo rinnovato indirizzo stilistico, giocando abilmente sui toni di solo due tinte: il bianco per le lenzuola e per l’incarnato di Cleopatra e il viola per i cuscini, le cortine dell’alcova, disposte a sipario, come in una rappresentazione teatrale, e le gocce di sangue color di rubino che sgorgano dal petto della regina, la quale, ormai esangue, è languidamente adagiata sulle coltri. Il dipinto è identificabile con quello citato nel Libro dei conti del Guercino come “quadro di Cleopatra” pagato 125 ducati “il 24 marzo 1648 dall’Ill.mo Mons. Carlo Emanuele Durazzi”, cugino di uno Stefano Durazzo. Egli, come era tradizione per tanti porporati genovesi, ricoprì la carica di cardinale legato nei territori emiliani, soggetti allo Stato Pontificio. Tale continuità istituzionale – se non era genovese il legato, lo era probabilmente il vicelegato – spiega la gran fortuna della pittura emiliana del Seicento nelle collezioni della città ligure. Alla metà del Settecento dai Durazzo, attraverso vari passaggi ereditari, il quadro passò infine nella collezione di Gio. Francesco II Brignole - Sale, che la collocò nella quadreria del secondo piano nobile di Palazzo Rosso.

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