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Museo archeologico nazionale di Venezia verified

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Altorilievo con Mitra che uccide il toro
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Statua di Artemide
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Statua di Kore
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Busto di Atena
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Ara Grimani
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Statuetta di Poseidone
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Ritratto del cosiddetto Vitellio
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Putti del trono di Saturno
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Putti del trono di Saturno
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Rilievo con Cleobis e Biton
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Statua Cubo
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Rilievo con scene di guerra
Altorilievo con Mitra che uccide il toro
Statua di Artemide
Statua di Kore
Busto di Atena
Ara Grimani
Statuetta di Poseidone
Ritratto del cosiddetto Vitellio
Putti del trono di Saturno
Putti del trono di Saturno
Rilievo con Cleobis e Biton
Statua Cubo
Rilievo con scene di guerra

Altre opere esposte

Descrizione

I due rilievi rappresentano una coppia di putti che reggono la falce e lo scettro di Saturno. Originariamente facevano parte di un ciclo decorativo che comprendeva coppie di putti, vestiti di un solo mantello svolazzante, che portano le insegne dei dodici dei accanto ai rispettivi troni vuoti, in un ambiente interno reso con pochi elementi architettonici di sfondo. Si tratta di un notevole esempio di arte romana di età giulio-claudia (27.a.C. - 68 d.C.) protagonista a Venezia di una particolare vicenda di reimpiego e collezionismo. Provenienti dalla chiesa di San Vitale a Ravenna i due rilievi risultano presenti a Venezia già nella prima metà del Trecento. Nel 1335 un collezionista di Treviso, Oliviero Forzetta, scriveva in una nota che desiderava acquistare queste lastre con i putti per la sua raccolta d’arte: è questa la prima testimonianza che conosciamo nel Veneto di una collezione di sculture antiche. I putti vennero poi, nuovamente segnalati a Venezia nel 1532 da Marin Sanudo, che li vide inseriti nel muro di un palazzo nei pressi di piazza San Marco. Cinquant’anni più tardi, Francesco Sansovino nella sua guida di Venezia del 1581 registrava la presenza delle lastre con i putti all’interno della chiesa di Santa Maria dei Miracoli, dove rimasero fino al 1811. In quell’anno, le lastre furono trasportate allo "Statuario Pubblico" per interessamento dello scultore Antonio Canova e di Jacopo Morelli, bibliotecario della Libreria Marciana, da cui il museo dipendeva.


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