Il dipinto costituisce uno dei “quattro paesi ovati” raffiguranti le proprietà della famiglia Sacchetti nei dintorni di Roma, realizzate da Pietro da Cortona tra il 1632 e il 1639. La medesima villa vicino al mare, situata pochi chilometri a sud della capitale papale, era stata edificata e decorata dallo stesso artista toscano a partire dal 1623 per volontà del cardinale Giulio Sacchetti, intimo amico di papa Urbano VIII Barberini.

Nato a Piacenza nel 1691, dove studiò scenografia teatrale, Pannini si trasferì a Roma in giovane età, dedicandosi alla decorazione a fresco e alla realizzazione di straordinarie vedute della Città Eterna, senza tralasciare, secondo un gusto tipicamente settecentesco, di immaginare paesaggi ideali popolati da rovine classiche. La tela qui esposta, databile al quarto decennio del Settecento, è qualificata da un attento equilibrio scenico, con una seducente divinità fluviale in marmo al centro della composizione.

L’Imbarcadero dipinto nel 1782 rappresenta un rielaborazione fantastica e teatrale di diversi elementi architettonici: l’antico Porto di Ripetta, il Pantheon e ai lati il Palazzo Nuovo del Campidoglio; è un vero e proprio «collage di monumenti romani», un’architettura parlante, in cui il pittore torna e rielabora il tema di un quadro esposto al Salon nel 1767. L’Imbarcadero non manifesta solo l’interesse architettonico di Robert per l’antichità, ma anche una sensibilità preromantica, dove le azioni quotidiane dei personaggi, all’interno di queste scenografie ideali, fanno da contrappunto all’atemporalità del mondo antico.

Anche in quest’opera è al centro la rielaborazione di architetture classiche studiate in Italia. Dal 1754 al 1765 Robert aveva soggiornato all’Académie de France di Roma, dove accanto all’esercizio della copia dei capolavori e del nudo, aveva studiato l’osservazione della natura nella campagna romana. Come docente di prospettiva era stato chiamato il piacentino Giovanni Paolo Pannini che aveva iniziato a introdurre i giovani all’analisi delle architetture e al paesaggio disseminato di frammenti antichi, creando un vero e proprio genere che influenzerà anche Robert, come mostra il dipinto in cui rievoca modelli dell’architettura palladiana.

La firma di Boucher e la data compaiono in basso su entrambi i dipinti. Raffigurano uno scorcio di natura nei pressi di Beauvais, dove vi era un’arazzeria diretta dal pittore. Le due opere corrispondono a un periodo felice nel percorso dell’artista che nel 1765 sarà nominato Premiere peintre du Roi, grazie alla protezione di Madame de Pompadour, l’amante ufficiale del re e regina del gusto della corte francese, che prendeva lezioni di disegno proprio dal pittore. I due dipinti, che esprimono il desiderio di armonia tra uomo e natura, mostrano l’influenza su Boucher della pittura olandese e la distanza dall’ideale classico del paesaggio italiano. 

La piccola giardiniera, firmata “f. Boucher /1767” su un sasso a destra, esprime l’ideale della bellezza femminile del momento, raffigurata nelle sembianze di una pastorella seducente, dall’incarnato porcellanato e dalle forme aggraziate, apparentemente ingenua e vicina alla natura, ma vestita in un vaporoso abito di seta alla moda; è rappresentata dopo aver colto i fiori nel cestino (da cui il titolo dell’opera), mentre guarda alla sua sinistra, forse attratta dall’amato nascosto nel bosco. L’opera è un tipico esempio del genere delle pastorali galanti o fêtes champetrês che esprimono il desiderio di spensieratezza della corte reale francese, la cui frivolezza attirò le critiche di Denis Diderot che chiese di “liberarsi di queste dannate pastorali”, ma che rendono bene il clima di crescente laicizzazione e il gusto del secolo, pienamente incarnati da Boucher in questo piccolo capolavoro.