Questa grande tavola di Marco Palmezzano, «caro alievo» del Melozzo e maestro della visione prospettica, fu realizzata per la chiesa della Santissima Annunziata del convento forlivese dei Padri Carmelitani e nel 1867 entra a far parte della collezione della Pinacoteca Civica di Forlì.  Qui Palmezzano utilizza l’iconografia tradizionale dell’Annunciazione, impostando la scena come una rappresentazione teatrale. L'opera è caratterizzata da un forte respiro monumentale che si armonizza con un cromatismo vivido e luminoso, memore dell’esperienza dei grandi maestri veneti, come Giovanni Bellini, Cima da Conegliano e Bartolomeo Montagna. 

Testi: Lorenza Montanari, Martina Neri - Unità Musei del Comune di Forlì

Le due tavolette del Beato Angelico raffiguranti la Natività e L'Orazione nell'Orto formavano un piccolo altarolo a due o tre ante e furono donati alla città di Forlì dall'abate forlivese Melchiorre Missirini, segretario di Antonio Canova. Nel dipinto della “Natività” o “Presepe” la scena è delineata dal pittore con pochi elementi essenziali. La Vergine e San Giuseppe sono in atteggiamento di adorare il Bambino, disteso nudo a terra su paglia dorata. Nella capanna si scorgono il bue e l'asinello. Sul tetto nove angeli di piccole dimensioni sono intenti a danzare gioiosamente, mentre un decimo angelo vola nel cielo notturno ad annunciare la buona novella ai pastori.

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Le due tavolette del Beato Angelico raffiguranti la Natività e L’Orazione nell’Orto formavano un piccolo altarolo a due o tre ante e furono donati alla città di Forlì dall’abate forlivese Melchiorre Missirini, segretario di Antonio Canova. 

In questa tavoletta, Cristo è rappresentato inginocchiato intento a pregare a mani giunte, distaccato dai tre apostoli addormentati.I personaggi sono rappresentati seguendo forme e modelli di Masaccio,in un equilibrio interno di figure e spazi collocati in zone di terreno e vegetazione e quinte architettoniche.

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Tra i capolavori custoditi nella Pinacoteca civica di Forlì troviamo il monumentale dipinto di Giovanni Fattori, “Buoi al Carro (Il carro rosso)”, realizzato nel 1885. La scena è dominata da una contadina che sprona ad avanzare due bianchi buoi, aggiogati ad un carro rosso ricolmo di fieno. Il dipinto fu donato dall’ingegnere di origini forlivesi Giuseppe Pedriali alla Pinacoteca della Città di Forlì, assieme a tutta la sua raccolta d’arte. 

Nel dipinto, nonostante l’ampiezza spaziale, le quinte d’alberi concentrano la visione e il dinamismo dell’azione al centro della tela. La contadina, sbilanciata nel tenere le redini, appare defilata nella penombra quasi a non interferire con il nucleo vitale dell’opera (Baboni, 2008).

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Questo dipinto, di cui si erano perse le tracce per quasi due secoli, ricomparve in una vendita d’asta a Londra all’inizio del XIX secolo. L’opera nel 2005 è stata acquisita dal Comune di Forlì ed è ora conservata nella civica pinacoteca. L’opera, caratterizzata da una forte sensualità, è un esempio pittura intellettuale e raffinata.

La figura dell’Astrologia è molto simile alle Cleopatre, Lucrezie e Maddalene che Cagnacci dipinge negli anni trascorsi a Venezia e Vienna. Le immagini, di fortissimo impatto, sono caratterizzate da un forte naturalismo con l’impiego di una luce chiara e nitidissima (G. Viroli, 2008). La donna ha lo sguardo rivolto verso lo spettatore e con la mano sinistra si appoggia su un globo celeste con le raffigurazioni delle costellazioni. Nella scena è presente anche il volume De’ coeli e de’ moti, allusivo alle dispute scientifiche relative allo studio dei fenomeni celesti nati sulla scia delle scoperte galileiane (Battistini, 2004). 

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La piccola opera fu probabilmente dipinta da Vitale da Bologna, importante pittore del Trecento emiliano. Secondo la tradizione, il Beato Marcolino (1317-1397) si faceva accompagnare da questa sacra immagine nelle sue opere di carità e nei suoi tentativi di riportare la pace tra le nobili famiglie forlivesi, in lotta per il controllo della città.

L’opera è così comunemente conosciuta come Madonna della Pace e, al tempo della Seconda Guerra Mondiale, i forlivesi si raccolsero al suo cospetto per chiedere protezione per i propri cari in guerra e per la fine del conflitto. Il dipinto è entrato a far parte della Pinacoteca forlivese nel 2013, grazie all’importante deposito concesso dall’Ordine Domenicano.

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ll “Cristo e l’adultera” del pittore genovese Alessandro Magnasco fa parte della Collezione Pedriali della Pinacoteca Civica di Forlì. L’opera è forse da ritenersi eseguita in collaborazione con il pittore lombardo Clemente Spera, specializzato in architetture e rovine.

Questi scenari architettonici, spesso in rovinoso abbandono, e i paesaggi con fantasiose boscaglie fanno spesso da sfondo alle vivaci figure con le quali il Magnasco popola il suo mondo pittorico. Le figure sono qui rappresentate in movimento, mentre si piegano e si curvano, come animate da un senso di agitazione, che conferisce un forte dinamismo a tutta la composizione.

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L’opera era l’urna sepolcrale del Beato Marcolino e un tempo si trovava all’interno della chiesa di San Giacomo Apostolo del convento forlivese dei Domenicani. Con le leggi eversive del Regno d’Italia, l’arca fu acquisita nelle collezioni della civica pinacoteca, mentre le spoglie del Beato furono traslate in Duomo, dove oggi sono venerate in un’urna nella cappella dedicata a Sant’Anna.

L’urna è datata al 1458 ed è solo parzialmente opera di Antonio Rossellino. A lui sono attribuibili le figurette dell’Annunciazione, la Temperanza, la Giustizia e gli angeli sul sarcofago, mentre altre parti potrebbero spettare alla mano del fratello Giovanni. 

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Questo affresco fu eseguito da Marco Palmezzano sulla parete dell’abside della chiesa annessa al convento femminile di Santa Maria della Torre (o della Ripa) di Forlì, intorno al 1492. L’opera è fondamentale per ricostruire le vicende artistiche del pittore, sia perché documenta i modi e le influenze della sua prima attività, sia perché rimane l’unica testimonianza del forlivese nel campo dell’affresco. In questa opera Palmezzano si rifà all’affresco di Melozzo degli Ambrogi con l’Entrata di Cristo in Gerusalemme della Sagrestia di Loreto, sia per l’impostazione spaziale, realizzata con un punto di fuga molto alto, sia per l’arco a tutto sesto delimitato dalle due lesene laterali ornate con candelabre e motivi a treccia. Nel dipinto i richiami melozzeschi si fondono con l’evidente ispirazione umbra, in particolare peruginesca, riconoscibili nella croce altissima e nelle espressioni addolcite e negli atteggiamenti fortemente caratterizzati le belle figure (Togni, 2016).

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Questa bellissima natura morta di sapore caravaggesco è pervenuta alla Pinacoteca civica di Forlì grazie al lascito del Conte Pietro Guarini. Inizialmente riferita a Paolo Antonio Barbieri, fratello del Guercino, specializzato in dipinti di fiori, frutta e animali, è stata poi attribuita a Guido Cagnacci. Si tratta di una delle “nature morte” più discusse della storia dell’arte, la cui paternità non può dirsi ancora convincemente conclusa. Alcuni esperti, studiando le specie botaniche rappresentate in questo dipinto (iris, gladioli bianchi e purpurei, “stelle di Betlemme”), hanno potuto affermare che la contemporaneità della fioritura e la coerenza delle dimensioni dei diversi fiori fanno pensare che possa trattarsi di uno dei pochi casi di opera realizzata dall’artista copiando il modello dal vero (Signorini e Pacini, 2009; Benati, 2010).

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Nel 1850 l’opera fu donata alla Pinacoteca di Forlì dal conte Carlo Cignani, discendente dell’omonimo pittore bolognese che visse e operò a Forlì. La figura femminile ritratta, secondo la tradizione locale, è da riconoscere nella leggendaria Signora di Forlì, Caterina Sforza, benchè non vi siano fonti storiche o dati interni al dipinto a supporto di tale ipotesi.  E’ una donna dai tratti naturalistici e al contempo idealizzati. Il volto è sereno, nobile e dai tratti regolari. La dama è raffigurata davanti ad un velario di colore rosso, intenta a sistemare in un piccolo vaso alcuni gelsomini, simbolo di fedeltà coniugale. L’opera fu probabilmente commissionata come dipinto di fidanzamento o nuziale.

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